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Celiachia e sindrome di Down

La malattia celiaca è una intolleranza al glutine geneticamente determinata e si può manifestare sia con sintomi gastrointestinali che con sintomi atipici, come anemia, deficit di densità ossea o di accrescimento. E’ caratterizzata da un’anomala risposta immunologica con conseguente danno della mucosa intestinale.

L’esclusione permanente dalla dieta di ogni alimento contenente glutine (grano avena orzo e segale) risolve la sintomatologia e restituisce una condizione di benessere. La dieta è l’unica terapia valida, è semplice, ma comporta difficoltà organizzative e un processo di adattamento psicologico.

Fino a 15 anni fa si pensava che la prevalenza della celiachia nella popolazione generale fosse intorno a 1 caso su 1000. I progressi delle conoscenze e delle tecniche di laboratorio hanno dimostrato, al momento attuale, che la celiachia ha una prevalenza di 1:200 circa; recentemente uno screening scolastico a Trieste ha dimostrato la presenza di anticorpi specifici in un caso su 80.

Nella sindrome di Down la celiachia è più frequente: diversi studi dimostrano, una prevalenza che varia, secondo le metodiche usate, da 4 a 12 casi di celiachia ogni 100. Questo significa che se la prevalenza è di 12 : 100, in un gruppo di 100 persone con la sindrome di Down, 88 NON hanno la celiachia, e 12 hanno anche questo problema, spesso non diagnosticato.

La sindrome di Down è associata ad una maggiore incidenza di disordini autoimmunitari, come diabete e tiroiditi, oltre la celiachia. La regolazione del sistema immunitario dipende dalla presenza di geni che codificano su molti cromosomi.

La celiachia è associata alla presenza degli alleli degli antigeni umani leucocitari (HLA) DQA1*0501/DQB*0201 che codificano sul cromosoma 6.

Chi non ha questi geni non è predisposto a questa malattia.

Sembra inoltre che su 100 soggetti predisposti 25 non presenteranno mai la malattia. Per procurare il danno intestinale occorre infatti non solo la presenza di geni favorenti, ma anche l’esposizione al glutine e lo scatenamento della produzione di anticorpi che invece di aggredire il glutine distruggono la mucosa intestinale e la sua funzione di assorbimento delle sostanze nutritive.

Il danno intestinale si evidenzia solo con la biopsia, cioè il prelievo di un frammento di mucosa intestinale da osservare al microscopio. Questa è una pratica costosa e poco gradevole , ma indispensabile per fare una diagnosi di certezza ed escludere il glutine dalla dieta per tutta la vita.

Prima di arrivare a questo procedimento finale e decisivo, si dosano, con un semplice prelievo di sangue, gli anticorpi specifici chiamati AGA ( anticorpi anti gliadina ) e EMA ( anticorpi anti endomisio). In presenza di positività sarà necessario effettuare la biopsia.

Si sta diffondendo anche il dosaggio dell’antitransglutaminasi serica tissutale umana (tTG), che essendo più economica e specifica degli EMA potrà in futuro sostituirsi a questi.

I criteri diagnostici per la celiachia sono stati progressivamente migliorati nel corso degli anni (1970-79-90), sono ancora oggi in discussione: si ritiene indispensabile sia la positività degli EMA, che la presenza di atrofia della mucosa intestinale dimostrata con una biopsia.

Le due biopsie prima e dopo l’inizio della dieta, seguite dalla dieta di scatenamento con conseguente ricaduta entro due anni e ulteriore (terza) biopsia sono state abbandonate ufficialmente dall’ ESPGAN (European society for paediatric gastroenterology and nutrition) dal 1979, perché inutili: l’intolleranza al glutine è permanente e l’abbandono della dieta comporta solo svantaggi.

ll problema della diagnosi nella sindrome di Down è stato affrontato da molti ricercatori: è necessario dosare gli anticorpi specifici a tutte le persone con Sindrome di Down? Al momento attuale è raccomandato, ma uno studio recente ha avuto largo riscontro sulla stampa specializzata, per i risvolti pratici che comporta. Ne riportiamo i punti salienti.

Un gruppo di ricercatori olandesi (Csizmadia 2000) ha seguito 137 pazienti con sindrome Down, dosando nel 1994, 1996 e 1999 gli anticorpi IgA antiendomisio (EMA). Inoltre sono stati testati i sistemi HLA-DQA1 e HLA-DQB1. Tutti i pazienti positivi per EMA hanno fatto la biopsia intestinale. La diagnosi di celiachia è stata posta in caso di EMA positivi e atrofia dei villi intestinali. Risultati:11(8%) pazienti sono risultati celiaci, 8 nel 1994 e 3 nel 1996. Tutti i celiaci avevano la stessa combinazione HLA-DQA1 e B1. La presenza di sintomi clinici non è stata utile nel discriminare i celiaci.

Gli autori sostengono la necessità di individuare le persone Down con caratteristiche HLA potenzialmente associate a celiachia, e poi eseguire la ricerca della celiachia solo in questi pazienti, ma ripetendola due volte a distanza di anni: migliora così il rapporto costi/benefici dello screening.

Il 70% delle persone Down potrebbe in questo modo evitare di fare lo screening per la celiachia, mentre la diagnosi nei soggetti predisposti sarebbe più accurata se il test venisse ripetuto due volte nel corso degli anni.

Questo studio è molto interessante, anche se non ancora traducibile nella pratica quotidiana, sia perché richiede ulteriori conferme, sia perché la tecnica della tipizzazione genomica ad alta risoluzione è ancora dispendiosa e adottata solo in pochi laboratori.

Ma l’importanza di questa indagine è evidente: se la celiachia e la sindrome Down hanno in comune una combinazione di alleli HLA, dovrebbe essere sufficiente escludere la presenza di quella combinazione per archiviare la ricerca della malattia celiaca.

Nel momento in cui la diagnosi viene accertata si inizia la dieta priva di glutine.

La qualità di vita delle persone sintomatiche migliora subito perché si sentono finalmente bene. Anche i sintomi non evidenti come l’osteoporosi si riducono fino a scomparire, e così le difficoltà di crescita, l’anemia, i dolori articolari, le dermatiti. i disturbi del comportamento legati a malessere generale o malassorbimento.

Vale la pena di affrontare le difficoltà legate alla nuova organizzazione alimentare.

Conosciamo persone con sindrome di Down in grado di fare attenzione al supermercato o al ristorante a non acquistare prodotti contenenti glutine.

E’ una complicazione in più, ma sono ben altri i problemi che le persone con sindrome di Down dimostrano ogni giorno di saper affrontare.

Per fortuna anche la consapevolezza sociale per questa necessità alimentare sta migliorando, ed esistono catene di negozi, pizzerie, pub molto sensibili alle necessità dei celiaci.

Molti prodotti privi di glutine sono cari, ma dispensati dal Servizio Sanitario Nazionale. E’ possibile seguire una dieta senza glutine anche senza acquistare prodotti specifici. Riso e mais NON contengono glutine, e, con le patate. sono sostituti economici di grano orzo avena e segale. TUTTI GLI ALTRI ALIMENTI SI POSSONO MANGIARE , bisogna solo fare attenzione che non siano cucinati con piccole quantità di glutine.

Il problema della celiachia interessa un numero di persone molto più ampio di quanto non si ritenesse quando molti sintomi erano misconosciuti e le tecniche di diagnosi erano imprecise e dolorose. Inoltre riguarda le popolazioni di tutti i paesi del mondo. Recentemente si è tenuto a Baltimora (agosto 2000) il 9° Simposio Internazionale sulla Sindrome Celiaca, dove ricercatori di diversi continenti hanno portato il loro contributo interdisciplinare, ponendosi obiettivi ambiziosi ma realistici per il futuro ( Fasano A,2001 ):

  1. Trovare il gene.
  2. Sviluppare un vaccino.
  3. Produrre cereali senza glutine tramite l’ingegneria genetica.
  4. Individuare chi, come e quando sottoporre alle analisi.
  5. Prevenire la permeabilità intestinale che scatena le reazioni autoimmunitarie.
  6. Sviluppare un test non invasivo, rapido e affidabile per la diagnosi e il monitoraggio successivo.

Per informazione più ampie sulla celiachia consultare il sito www.celiachia.it

Rossella Di Bartolomeo, Flavia Luchino, Elena Zupi. Sindrome Down Notizie n.2, mag-ago 2001

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