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Massimo Farneti
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APeC- L'assistenza ai bambini e ai ragazzi con malattie croniche - Quaderni acp 2002; voI IX n° 1: 56-58

 

L'assistenza ai bambini e ai ragazzi con malattie croniche
a cura dell'Associazione Pediatria di Comunità
APeC, società affiliata all'Associazione Culturale Pediatri

Premessa
Questo articolo vuole essere una guida per coloro che a livello distrettuale devono organizzare l'assistenza integrata al bambino con malattia cronica.
L'APeC propone questo documento, che esprime l'opinione di una delle parti interessate, confidando che una discussione franca e articolata contribuisca a sciogliere alcuni nodi e possa portare alla definizione di linee guida condivise.
Si deve tenere conto dei problemi legati all'età: nel bambino piccolo è, infatti, difficile definire livelli di autosufficienza; sono carenti scale validate per definire la gravità delle patologie che colpiscono i bambini e ragazzi e che permettano la confrontabilità di patologie diverse.
È necessario tenere in costante considerazione le progressive "autonomie" legate allo sviluppo, favorire l'inserimento in comunità educative e ludico-ricreative come tappa di ogni percorso assistenziale, considerare l'atteggiamento, le aspettative e "l'investimento" della famiglia nei confronti del minore malato. Per attivare un'assistenza distrettuale integrata sono necessari alcuni prerequisiti qui elencati in ordine di priorità:

  • presenza di un contesto organizzativo che tenga in considerazione la specificità dell'area dell'assistenza all'infanzia e all'adolescente (preferibilmente il Dipartimento materno infantile o eventuali strutture equivalenti) e che metta in collegamento strutturale o funzionale le varie figure professionali che ruotano attorno al bambino e alla sua famiglia (pediatria ospedaliera, pediatria di base, neuropsichiatria infantile, ecc.)
  • presenza di un progetto aziendale condiviso con budget
  • livelli di responsabilità ben individuati
  • personale, soprattutto di area infermieristica e tecnico-professionale, in misura sufficiente o possibilità di attivare risorse esterne
  • possibilità di mettere in rete risorse non sanitarie della comunità di riferimento: scuola (scuola a domicilio, progetto sei, ecc.), enti locali, associazioni dei genitori, volontariato
  • presenza di momenti formali di confronto e supervisione.
  • Obiettivi
    Gli interventi devono essere garantiti a tutti coloro che ne hanno bisogno, superando difficoltà di accesso legate a condizioni socio culturali o economiche svantaggiate. Devono inoltre avere le seguenti caratteristiche:

  • mirare alla "autonomia" nella gestione della malattia sostenendo le competenze genitoriali
  • mirare alla limitazione delle ospedalizzazioni ai soli momenti di acuzie non gestibili a livello ambulatoriale e/o domiciliare
  • favorire l'inserimento e il mantenimento del minore in collettività educative e ludico-ricreative
  • rispettare modalità di assistenza legate a tradizioni culturali e religiose diverse, garantendo nello stesso tempo al minore i livelli massimi di cura possibili
  • tendere al coinvolgimento del "capitale sociale" (volontariato, vicinato, ecc.) inserendolo nel processo assistenziale evitando la delega a tali attori di funzioni professionali che devono essere attribuite a operatori professionali.
  • Strumenti
    L'assistenza da erogare nei confronti dei bambini e ragazzi con patologia cronica, disabilità o malattie rare è complessa per le seguenti ragioni:

  • l'estrema varietà delle forme cliniche, molte delle quali mal definite dal punto di vista diagnostico o talmente poco frequenti da non poter trovare a livello distrettuale la presenza di competenze specifiche
  • l'estrema varietà delle situazioni familiari, socio-culturali, economiche, ambientali in cui le varie forme cliniche si manifestano (cosicché anche la gestione di una patologia frequente, nota e relativamente "semplice" può diventare complessa).
  • Per questo è necessario superare la visione "nosografica" delle patologie che impronta la cultura medica per acquisire un'ottica "funzionale".
    Per avvicinarsi alla cronicità con l'ottica del sostegno/miglioramento delle funzioni, accanto ad una corretta assistenza "medica", occorre privilegiare azioni che tendano ad un'efficace rimozione degli ostacoli disabilitanti a loro volta legati in parte al tipo di malattia, in parte (spesso più rilevante) al contesto "socio-ambientale": si pensi alle barriere architettoniche per tutti i disabili motori. Bambini con malattie croniche differenti possono esprimere bisogni molto simili. Soffermarsi solo sulle caratteristiche cliniche delle loro patologie può allontanare la soluzione delle reali esigenze.

    Il piano assistenziale individuale (p.a.i.) è per i suddetti motivi il cardine di una corretta assistenza.
    Esso è un documento in cui il gruppo distrettuale che si occupa dell'assistenza alle malattie croniche, integrato dagli operatori che direttamente forniscono assistenza a quel singolo caso, delinea dettagliatamente per il paziente e la sua famiglia gli obiettivi assistenziali sia quantitativi sia qualitativi stabilendone i tempi dell'attuazione. Il piano assistenziale individuale deve essere discusso con la famiglia e condiviso con essa. Perché un p.a.i. sia applicabile sempre e in qualsiasi distretto, perché non sia basato sulla "emergenza" o sulla "buona volontà" dei singoli operatori e servizi è indispensabile che esista un progetto a monte.

    Il progetto assistenziale aziendale è un documento in cui il gruppo di coordinamento aziendale per l'assistenza alle malattie croniche delinea i bisogni, le risorse dedicate (o comunque reperibili in caso di necessità specifiche) e la conseguente offerta di servizi e prestazioni che il Ssn e il privato sociale può mettere in campo sia per le disabilità in genere, sia per le singole patologie. Esso dovrebbe garantire la possibilità di attuazione dei p.a.i. nei casi ad alta complessità e consentire una "gestione" molto semplificata delle situazioni a bassa e media complessità, dove possono essere sufficienti alcune garanzie generali (per es. iter burocratici chiari e semplici, "immediata" disponibilità di diete speciali nelle scuole...) e l'applicazione dei protocolli terapeutici (quando esistenti ed applicabili).

    Il protocollo terapeutico è un documento in cui un gruppo di esperti o una società scientifica hanno stabilito, richiamandosi obbligatoriamente alle evidenze disponibili, quali siano le procedure diagnostico-terapeutiche per una certa malattia.

    Gli attori
    Sono molteplici i sanitari e le strutture che ruotano attorno al bambino con patologia cronica, disabilità o malattie rare.

    Il livello regionale (unità di progetto per l'assistenza ai bambini e ragazzi con patologia cronica) deve:

  • sovrintendere al progetto regionale attivando un sistema informativo specifico per il monitoraggio e la valutazione degli interventi
  • acquisire i protocolli terapeutici delle varie malattie, vagliarli e stendere il protocollo regionale ufficiale per ogni malattia alla luce dei dati della ebm
  • tenere i contatti con le associazioni regionali e nazionali dei pazienti e delle loro famiglie
  • essere di stimolo e di supporto al consiglio regionale per la attuazione di politiche integrate di area per il superamento degli ostacoli disabilitanti (sostegno educativo, barriere architettoniche, inserimento lavorativo, ecc.) Compito particolarmente importante del livello regionale è attivare una "banca dati" per le patologie rare o non inquadrabili per le quali non esista protocollo terapeutico "scientifico".
  • Il livello aziendale (unità di progetto aziendale per l'assistenza ai bambini e ragazzi con patologia cronica) deve avere il compito di redigere il progetto aziendale di assistenza ai malati cronici in età evolutiva e i vari protocolli assistenziali, coordinare e valutare l'assistenza erogata, sollecitare azioni (non strettamente di pertinenza sanitaria) atte alla rimozione degli ostacoli disabilitanti (es. barriere architettoniche). Deve tenere i contatti con le associazioni locali dei pazienti e delle loro
    famiglie e gestire il registro delle patologie croniche. È bene che ne facciano parte un pediatra di comunità (ove esista, o una figura simile di sanità pubblica), un pediatra di base, un pediatra ospedaliero, un assistente sociale, uno psicologo, un neuropsichiatra infantile, un assistente sanitario e un referente del servizio infermieristico. Di volta in volta la struttura aziendale può essere integrata da specialisti di patologia o di organo.
    Dato il peso della prevalenza delle malattie psichiatriche e psicopatologiche il neuropsichiatra infantile, a questo livello di coordinamento, non può essere equiparato allo "specialista di patologia" ma è figura indispensabile nella progettazione aziendale.

    Il livello distrettuale (unità di valutazione pediatrica distrettuale) è un gruppo operativo formato da un pediatra di comunità (vedi sopra), un assistente sociale, il pediatra di base del caso e si integra al bisogno con gli operatori necessari alla stesura del p.a.i.
    In caso di p.a.i. "complesso" deve essere sempre individuato il responsabile del progetto. Il gruppo distrettuale si riunisce periodicamente per la valutazione dei p.a.i. "complessi" e per il loro adeguamento.
    Qualora il p.a.i. richieda un aumento di risorse o una loro nuova collocazione distrettuale o aziendale il responsabile dovrà rapportarsi al direttore del distretto e alla unità di progetto aziendale per l'assistenza ai bambini e ragazzi con patologia cronica.

    Il responsabile terapeutico del caso è il professionista che segue il paziente in tutte le varie fasi dell'assistenza sanitaria; di norma è il medico o il pediatra di base. Egli è garante che il protocollo terapeutico sia seguito e opera, in contatto con gli specialisti e gli altri operatori territoriali, per superare le eventuali difficoltà sia diagnostico-terapeutiche, sia assistenziali.

    Il responsabile del piano assistenziale individuale è il professionista garante della attuazione dei vari interventi assistenziali contemplati nel p.a.i. Non esiste a priori un professionista più adatto a svolgere tale funzione, per cui deve essere individuato volta per volta in colui che, in quel caso specifico, può meglio presidiare e gestire l'integrazione dei vari professionisti e servizi.

    L'infermiere professionale in prima persona svolge attività di assistenza infermieristica domiciliare e/o a livello di comunità educative. La sua collocazione funzionale è all'interno del pool infermieristico distrettuale diretto dal responsabile dell'assistenza infermieristica distrettuale.

    L'assistente sanitario è la figura di area infermieristica, di norma dell'area di pediatria di comunità o di sanità pubblica, che coadiuva il responsabile del p.a.i. (nel caso non lo sia l'assistente sanitario) nel coordinamento operativo- assistenziale e si fa carico direttamente dell'educazione sanitaria del paziente e della sua famiglia rispetto alla autogestione della malattia e ai percorsi assistenziali. Sovrintende all'inserimento in comunità educative del minore pianificandone le necessità "speciali" (dieta, farmaci, ecc.) in rapporto con la famiglia e il curante e mantenendo i contatti con la direzione delle comunità educative. Qualora il minore necessiti, per un valido inserimento in comunità, di assistenza infermieristica la attiva tramite il responsabile del p.a.i.

    L'assistente di base è una figura importante per l'assistenza domiciliare e/o in ambito di collettività educativa nei casi multiproblematici. Mentre è possibile tracciare i compiti e la relativa professionalità necessaria a svolgere questo incarico, non è possibile attribuire a tale figura in un preciso profilo professionale. L'assistente di base deve svolgere sia funzioni di tipo assistenziale alla persona (dall'igiene, alla nutrizione fino a semplici pratiche sanitarie come la regolazione di una pompa per la nutrizione enterale) sia funzioni educativo-relazionali.
    Tale figura è spesso la più gradita dalle famiglie perché rappresenta un supporto professionale "esperto" da inserire nella gestione quotidiana del bambino malato cronico multiproblematico. Un ventaglio tanto ampio di competenze si coniuga male con i cosiddetti "mansionari" e i problemi di responsabilità medico legale.
    È inevitabile quindi optare, spesso, per una pluralità di figure professionali che ruotano attorno al bambino e alla sua famiglia invece di privilegiare tale figura polifunzionale.
    Problema aperto rimane 1'iter formativo dell'assistente di base, per ora, appare in gran parte affidato alla formazione legata all'esperienza, con scarsa supervisione professionale; altrettanto scarso appare l'iter formativo specifico più orientato a funzioni di "bassa assistenza".

    La presa in carico
    Per la presa in carico integrata a livello distrettuale non possono essere indicati dei rigidi criteri di eleggibilità che potranno essere tracciati, in parte, solo all'interno dei vari livelli di complessità assistenziale (vedi oltre).
    Per l'attivazione degli interventi assistenziali la figura cardine è il pediatra/medico di base. Per rendere la modalità di "ingresso nel circuito assistenziale" efficiente ed evitare il rischio che i soggetti più "deboli" possano rimanere esclusi è indispensabile però un buon livello di informazione dei professionisti, delle associazioni dei pazienti e delle loro famiglie e dei vari operatori che entrano in contatto con le famiglie (ad es. gli amministrativi dei centri di prenotazione).
    La presa in carico deve essere programmata tenendo in considerazione i vari gradi di complessità assistenziale.
    Si può andare da bambini e ragazzi con malattie croniche che possono essere gestiti in toto dal "responsabile terapeutico" (vedi sopra), che può attivare gli altri servizi territoriali su esigenze specifiche e limitate nel tempo (ad es. l'inserimento in una comunità educativa in cui avvenga la consumazione del pasto di un minore affetto da celiachia), a casi multiproblematici in cui è necessaria, oltre all'attivazione del livello distrettuale, anche l'intervento della unità di progetto aziendale per l'assistenza ai bambini e ragazzi con patologia cronica. Per meglio sintetizzare i livelli assistenziali questi si possono schematizzare in complessità bassa, media alta.

    Bassa complessità: è attivato il livello aziendale con il solo compito di coordinamento e valutazione complessiva della qualità della assistenza erogata. In questa categoria sono compresi i casi in cui è disponibile un protocollo assistenziale aziendale e, data la relativa semplicità assistenziale, è sufficiente la presenza del solo responsabile terapeutico il quale, al bisogno, può attivare gli altri operatori territoriali per interventi circoscritti e standardizzati.

    Media complessità: è sempre attivata il livello aziendale; il livello distrettuale provvede ad interventi personalizzati.
    In questa categoria sono compresi i casi in cui
    è disponibile un protocollo assistenziale aziendale e non è richiesta una alta intensità assistenziale.

    Alta complessità: è sempre attivata il livello distrettuale allargato; deve essere steso il piano assistenziale individuale e deve esserne individuato il responsabile. In questa categoria ricadono tutti i casi multiproblematici in cui non sia disponibile un protocollo assistenziale aziendale o, se questo è disponibile, sia necessario attivare la assistenza infermieristica domiciliare e/o in comunità educativa e in cui la complessità della patologia di base richieda interventi continui e complessi. Fanno parte di questa categoria anche i casi multiproblematici che richiedano, per la precarietà del nucleo familiare o per il livello socioculturale, interventi continui e complessi di figure non sanitarie.
    All'interno della assistenza integrata ad alta complessità assistenziale è compresa la assistenza domiciliare integrata (ADI) che presenta peculiarità molto rilevanti rispetto all'ADI dell'adulto.
    Per essere attivata devono essere presenti alcuni prerequisiti simili a quelli richiesti per l'adulto e cioè la disponibilità e capacità dei genitori o della cerchia parentale ad acquisire alcune competenze specifiche necessarie alla continuità dell'assistenza (es. semplici tecniche infermieristiche) e a riconoscere alcuni semplici parametri vitali per la valutazione di eventuali situazioni di emergenza. Devono esistere anche i basilari canoni abitativi compatibili con una assistenza domiciliare priva di eccessivi rischi (presenza del telefono, standard abitativi minimi, ecc.). -
    Ma, per bambini e ragazzi, la scarsa "competenza" genitoriale o addirittura la carenza/mancanza di un nucleo genitoriale apre una serie di difficoltà che poco hanno a che fare con l'area dell'adulto ove tali difficoltà parentali vengono spesso superate con il ricovero in strutture protette.
    Tali scelte, per i bambini e ragazzi, devono essere tendenzialmente evitate per l'impatto psico-relazionale che comportano ma, d'altra parte, attualmente le soluzioni non istituzionalizzanti appaiono carenti o episodiche. Appare urgente perciò pensare a soluzioni "familiari" per dare risposta a questi problemi che probabilmente in futuro saranno in aumento.
    All'interno dell'ADI pediatrica si collocano anche casi che richiedono una assistenza di tipo intensivo o subintensivo (es. bambini con respiratore, assistenza h. 24, ecc.). Per tali casi è necessario che il livello distrettuale sia supportato da quello aziendale e possa, al bisogno, attivare risorse extradistrettuali. Per i casi ad assistenza intensiva e/o super specialistica sono ipotizzabili due differenti schemi assistenziali: l'"ospedale a domicilio" e l'"ADI intensiva".
    Nell'"ospedale a domicilio" vengono attivate le risorse specialistiche ospedaliere (in genere del centro specialistico di 20/30 livello) che devono essere integrate con l'equipe distrettuale.
    L'assistenza domiciliare integrata intensiva può avere due possibilità alternative, ma a volte complementari:

  • le risorse di personale professionale sono reperite tramite agenzie esterne o addirittura si acquisisce, tramite sempre agenzie esterne, il servizio specialistico "completo" (es. servizio di nutrizione parenterale)
  • si formano, sul caso, risorse professionali presenti all'interno del distretto si acquisisce direttamente la eventuale strumentazione necessaria
  • Entrambi gli schemi hanno pregi e difetti e l'opzione dovrà tenere conto delle risorse presenti nel territorio aziendale (centri specialistici, preparazione "specialistica" del personale, risorse economiche) oltre che delle specifiche necessità dei singoli casi.
    L'esperienza dice che questi casi ad altissima complessità, pur se scarsi, proprio per la loro rarità e imprevedibilità, assorbono una quota molto rilevante di risorse (professionali, economiche, gestionali e persino "ideative") col rischio di ridurre la capacità di dare risposta ai casi più semplici e certamente più frequenti. Per questo si ritiene di fondamentale importanza la stesura del progetto aziendale generale, che faciliti la gestione dei casi meno complessi e nel quale tuttavia i piani assistenziali individuali ad alta complessità possano trovare supporti adeguati.

     

    Per corrispondenza:
    Massimo Farneti
    e-mail: mfarneti@ausl-cesena.emr.it

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