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Continua la storia di Anna   Giugno 2004

 

Sono la mamma di Anna
e vorrei parlare ancora di mia figlia per donare a tutti coloro che hanno un bambino Down una testimonianza, secondo me, importante.

La mia bambolina, purtroppo, a 6 mesi (qualche giorno dopo la mia prima lettera, che è comparsa sul sito in Febbraio 2004, ma fu scritta in privato quando Anna aveva sei mesi), si è ammalata di una gravissima forma di epilessia nota con il nome di Sindrome di West. Questa patologia porta, oltre alle crisi epilettiche, soprattutto un arresto ed un successivo regresso psicomotorio. È una encefalopatia che colpisce un bambino su 150.000, ed è per questo molto rara. Insomma per farla breve, senza stare a spiegare tutto l'iter terapeutico, costituito da molteplici tentativi con farmaci pesantissimi, posso ora sinceramente affermare che la preoccupazione per la trisomia 21, per il futuro incerto di Anna legato al suo più o meno accentuato ritardo, non c'è più.
Dopo 5 mesi di disperazione, di pianti e di preghiere, mia figlia è guarita, grazie all'intuito di un neurologo che ha imboccato la strada giusta per salvarla.

La neuropsichiatra che, con infimo tatto, aveva detto che Anna le pareva un cadavere, qualcosa l'aveva intuita, purtroppo.
Mio marito ed io le abbiamo parlato in toni abbastanza "sostenuti", e l'approccio alle problematiche di Anna è stato totalmente ridimensionato.
Il tempo ha appianato le divergenze in maniera, come al solito, esemplare, ed ora siamo soddisfatti della professionalità di questa dottoressa, che segue la piccola con coscienza ed attenzione. Non è necessario diventare amici per collaborare con successo! Questo lo penso da sempre.

Non vedere più ridere la mia bambina, non sentire più i suoi primi vocalizzi, riuscire a stento a catturare la sua attenzione, notare che ogni giorno che passava le crisi aumentavano e parallelamente dimenticava le poche piccole cose che aveva acquisito, è stato di gran lunga più doloroso di saperla down.
Confrontarsi con la malattia di un figlio è qualcosa di lacerante, nulla a che vedere con la consapevolezza di un percorso di vita complicato ma comunque positivo.
Un bambino Down è una continua scoperta, si cresce con lui mentre lui cresce, si collabora attivamente ad ogni passo che compie; insomma noi genitori siamo parte attiva nel suo cammino.
Di fronte, invece, a montagne insormontabili come determinate patologie fortemente invalidanti se non curate tempestivamente, ci si sente totalmente persi ed impotenti, inutili.

Quando tutto è passato, mio marito ed io abbiamo ricominciato a vivere e ci siamo meravigliosamente accorti di non volerci più esageratamente preoccupare per ciò che Anna avrebbe potuto fare o non fare un domani. Perché il terrore, ed uso esattamente questa parola, di ripiombare nell'incubo c'è, e non so per quanto tempo ancora ci sarà, ma si vive ogni attimo con ottimismo.
Accettare un figlio "con problemi" innesca meccanismi psicologici complessi, e le chiacchiere stanno a zero quando poi nei fatti si vive la propria quotidianità con troppa apprensione. Bisogna, certo, fare i conti con un maggior numero di difficoltà, bisogna essere più vigili e presenti, bisogna dare molta importanza a tutti i segnali, ma è fondamentale anche e soprattutto ridimensionare la realtà, , non facendo viaggiare la mente tanto in là ; fare le cose che si devono necessariamente fare con più rilassatezza.

Come genitori impariamo piano piano la perseveranza e la pazienza, spesso con grande fatica e cadendo a volte nella triste trappola dei confronti. Anna è la nostra prima ed unica figlia (per adesso) e grazie a lei cresciamo ogni giorno un pochino.
Tanto ancora dovremo crescere e capire affinché un giorno, quando nostra figlia si renderà conto della sua diversità e chiederà il perché, dovremo essere pronti a spiegarle la verità nel modo più semplice e ad infonderle la nostra tranquillità.

Abbiamo il compito basilare di formare il carattere dei nostri figli, e dobbiamo offrire loro il mondo in tutta la sua bellissima crudezza. Dico questo perché sia mio marito che io siamo intenzionati ad insegnare ad Anna, per quanto sarà possibile, prima di tutto il coraggio per affrontare autonomamente le cose belle e le cose brutte della vita, in piena consapevolezza e accettazione della sua condizione. Questo è l'unico auspicabile progetto a lungo termine che abbiamo nei confronti di nostra figlia.

Dopo l'esperienza della sindrome di West, l'anomalia cromosomica ormai non è più fonte di grandi paure. Abbiamo accettato nostra figlia perché è nostra figlia, e la amiamo senza condizioni, così com'è, rispettandola come persona, come individuo distinto e separato da ogni altro individuo. Ora che ha ripreso ad essere vivace, sorridente, allegra, che è rinata dopo un buio di mesi, noi la vediamo come un distillato puro di vitalità, come il motore fondamentale delle nostre esistenze, come d'altra parte tutti i figli dovrebbero essere per i propri genitori.

Anna ora ha diciotto mesi ed è la ragione per cui ci alziamo felici la mattina. L'unica certezza è che il domani è con lei e, fin quando lo vorrà, sarà straordinario.

 
 
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